sabato 16 novembre 2013

L'abito di cristallo

Talvolta penso che non conosciamo noi stessi e gli altri per quello che siamo e che sono, ma ogni volta che ci guardiamo allo specchio e incontriamo qualcuno vediamo l'abito di cristallo che ognuno di noi indossa, quell'abito di cristallo fatto della sostanza di noi stessi e della trama della realtà che ci sorregge.
E così succede, spesso, che tutto ciò che è strano, insolito, atipico, nuovo, immette l'imprevedibile nell'esistenza "ordinata" delle persone e del senso comune.
Consideriamo tutto ciò più pericoloso tanto più è fragile la cristalleria di cui siamo vestiti.
In che modo conosciamo ciò che crediamo di conoscere?
Siamo abituati a pensare che la realtà possa essere "scoperta"...eppure l'uomo non è scopritore, bensì creatore di realtà. Creiamo i nostri universi di significato costruendo e inventando quell'abito di cristallo che indossiamo a seconda del nostro personale osservare, spiegare il mondo, a seconda del nostro agire.
Non esiste punto di vista neutro, l'osservatore è parte della realtà che osserva.
L'abbandono delle verità assolute e la conoscenza di ciò che vogliamo essere e non solo di ciò che dobbiamo essere, forse sono parenti stretti della libertà.
Il nostro abito di cristallo scompone e ricompone le mille sfaccettature di ciò che ciascuno di noi si porta dietro: la ricchezza della complessità.
Le azioni umane sono spesso indecifrabili, classificarle non ci aiuta molto, anche se ci dà un apparente senso di sicurezza.

lunedì 14 ottobre 2013

se non decidiamo noi...saranno gli altri a decidere per noi...

LA STORIA DELLA TARTARUGA

Voglio raccontarvi una storia.

Di Anin, una tartaruga che aveva un sogno, voleva arrampicarsi sugli alberi per conoscere altri mondi.
E per fare questo decise che era necessario privarsi del suo guscio, il carapace, inutile intralcio al
raggiungimento del suo obiettivo.

Ma non tutti erano d’accordo.
Anin fu portata davanti al Consiglio delle Tartarughe per essere processata.
Bata, la Gran Maestra, si ergeva glaciale davanti a tutte le altre tartarughe, indignata per il gesto che Anin intendeva compiere.

Se ti togli il guscio, non sarai più considerata una tartaruga!” intimò rabbiosa.
“Può la mia identità” rispose Anin “essere legata a ciò che possiedo?”

E inoltre, pensò tra sé, se ciò che possediamo ci limita a tal punto da impedirci di raggiungere i nostri sogni, perché allora continuiamo ad esserne attaccati?

Tutte le tartarughe” insistette Bata “hanno il loro guscio. Nascono, vivono, muoiono, con il loro guscio. Non puoi… fare… ciò che non è previsto!”

Convinzioni, rifletté Anin.

Chiuse gli occhi. Trattenne il respiro.
Si tolse il guscio.
Silenzio. Sguardi di disapprovazione. Di paura.

Ebbene,” disse Bata “hai scelto.
Hai scelto di non essere più una di noi.
E se sei diversa, sei un pericolo.
Sei pericolosa!”
“Sei pericolosa!” fece eco una tra il gruppo.
“Sei pericolosa! Sei pericolosa!”. L’intero Consiglio si unì in coro.
E Anin fu cacciata dal gruppo.

. . . .

Ora, Anin, vive felice sugli alberi; ha scoperto mondi nuovi, ha conosciuto nuovi amici, che parlano ogni lingua, che le insegnano i segreti più profondi della vita.Ha scoperto che non era lei a possedere il guscio, ma era il guscio a possedere lei.
È una tartaruga? Non le importa. È Anin.

. . . .

Molto più in là, in un giardino recintato, un gruppo di tartarughe nasce, vive, muore.
“Ne manca una.” dice Joe al suo datore di lavoro.
“Non importa,” risponde questi “prendi tutte le altre. L’acqua sta bollendo.”



Accade che, molto spesso, quando ci poniamo un obiettivo, entrino in gioco convinzioni limitanti.
Queste funzionano come un’apparente corazza, che con la scusa di “difenderci dai pericoli” limita i nostri movimenti e le nostre decisioni.


mercoledì 25 settembre 2013

Ma di cosa stiamo parlando? Ovvero...è possibile comunicare veramente?

Mi occupo di comunicazione e anche di pittura. Di solito i temi sulla comunicazione che affronto, sono quelli della comunicazione interpersonale, dell’interazione faccia a faccia. In questi ultimi giorni curiosamente (ma non troppo), “l’incontro” con alcuni libri mi ha portato a fare una riflessione decisamente stimolante sulla comunicazione di massa.
Stavo approfondendo stili e movimenti pittorici e , mentre leggevo alcuni testi sulla pop art, Andy Warhol, Lichtenstein, Wesselman e i loro messaggi, ecco che riscopro nella mia libreria un testo di Mario Perniola, professore di estetica all’università di Roma e di Kyoto. Il titolo del libro: “Contro la comunicazione”. Il libro di Perniola tratta della comunicazione massmediatica e la pop art si occupa dei miti e del linguaggio della comunicazione di massa. Mi sembra una coincidenza interessante! E soprattutto mi sembra uno spunto per approfondire l’argomento. Insomma il procedimento è quello dell’entrata casuale che si utilizza nel pensiero creativo.
Comunicazione vs Conoscenza? … o Conoscenza vs Comunicazione?
Sulla copertina del libro di Perniola è riportata questa frase: “La comunicazione è l’opposto della conoscenza. E’ nemica delle idee perché le è essenziale dissolvere tutti i contenuti. L’alternativa è un modo di fare basato su memoria e immaginazione, su un disinteresse interessato che non fugge il mondo ma lo muove.”
La comunicazione massmediatica, la cui influenza si estende anche alla cultura, alla politica e all’arte, sembra la bacchetta magica che trasforma l’inconcludenza, la ritrattazione e la confusione da fattori di debolezza in prove di forza. Nel suo rivolgersi direttamente al pubblico, saltando tutte le mediazioni, essa ha un’apparenza democratica, ma è in realtà una forzatura che omologa tutte le differenze..
Per sostenere la sua teoria, l’autore del libro ci racconta quelle che lui chiama tre storiette sulla comunicazione che, adesso che vi ho incuriosito, vi riporterò fedelmente.
La prima riguarda un seminario sulle nuove tecnologie. Dopo quattro ore di accesa discussione, alla quale parteciparono una ventina di operatori culturali di varie professioni e competenze, uno di questi esclamò, provocando un breve sconcerto fra i presenti: “ma di cosa stiamo parlando?”. La domanda non ricevette risposta; tutti la ritennero irrilevante e la discussione continuò per altre quattro ore. Ripreso integralmente con la videocamera, il seminario diventò parte di un corso di new media venduto ad alto costo in dvd.

La seconda storietta riguarda invece la performance del capo di un partito. Questi fece un’affermazione pubblica provocatoria e aggressiva nei confronti di un gruppo socio-professionale, cosa che suscitò in molti scandalo e indignazione. Dopo poche ore ritornò sull’argomento ritrattando parzialmente la propria dichiarazione. Il giorno dopo sostenne che la frase incriminata era scherzosa e del tutto priva di intenzioni offensive. In serata affermò che essa conteneva in ogni caso una parte di verità. Il terzo giorno disse che era stato interpretato male. Nel pomeriggio aggiunse infine che si era solo fatto portavoce di un’opinione molto diffusa, che non condivideva. Tuttavia fu per tre giorni alla ribalta dei mass media.
La terza storietta ha per protagonista un tycoon dell’arte contemporanea, il quale riuscì finalmente ad aprire nel luogo più prestigioso della capitale la sua nuova galleria permanente, accompagnando l’evento con una campagna pubblicitaria senza precedenti. Mosso dall’intento di rendere davvero popolare l’arte contemporanea, raccolse in lussuosissime sale opere di artisti di tendenze e orientamenti quanto mai diversi, che avevano in comune la caratteristica di non richiedere alcun intervento interpretativo: nella sua strategia infatti, la nuova arte doveva colpire lo spettatore per il suo carattere diretto e realistico. I visitatori della galleria, il cui prezzo d’ingresso era considerevolmente elevato, raggiungevano così il duplice risultato di divertirsi come in un luna park e di partecipare a un rituale elitario.”
Ma vogliamo, per favore, iniziare a comunicare veramente?!… Andy Warhol ci offre un bello spunto…
Da queste storiette si giunge alla conclusione della trasformazione della comunicazione massmediatica, così apparentemente democratica in ideologia, in qualcosa che trasforma tutto in indefinito, in qualcosa in cui gli opposti si mescolano e si confondono, in un contesto in cui tutto può essere contemporaneamente una cosa, il suo contrario e anche tutto quello che ci sta in mezzo.
La comunicazione, continua Perniola, abolisce il messaggio, non attraverso il suo occultamento, e quindi rendendolo segreto, ma attraverso un’esposizione esorbitante e sfrenata di tutte le sue varianti. Nel segreto c’è un contenuto da preservare; la comunicazione invece mira al dissolvimento di tutti i contenuti.
Lascio Mario Perniola per tornare alle mie letture sulla pop art. La pop art (letteralmente arte popolare) prende il via da un nuovo panorama sociale che coincide con il boom economico sviluppatosi negli USA fra il 1959 e il 1970. Le forme espressive di questo movimento artistico nascono prelevando oggetti e immagini da una realtà che è quella del boom economico, caratterizzata da una forte domanda di beni di consumo, di intrattenimento, spettacolo e cultura che portano all’avanzare di una società sempre più omologata, in modo esponenziale.
Erano gli anni settanta, ora siamo nel 2005 e non siamo certo in un periodo di boom economico. Sull’omologazione della società quanto è cambiato? Eppure se ne è discusso tanto…. “Molto rumore per nulla!?” (tanto per citare anche Schakespeare!)
Tornando alla pop art Andy Warhol è certamente il più conosciuto fra gli artisti pop. Nella mia riflessione siamo passati dalla comunicazione attraverso le parole alla comunicazione attraverso le immagini, di cui indubbiamente Warhol è maestro.
Wharol entra nel mondo della comunicazione passando per la porta della pubblicità commerciale veicolata dai giornali e dalle riviste e lavora con risultati eccellenti nel design pubblicitario.
Il commento che fornirà di questa sua prima esperienza è sorprendente: “ Volevano cose originali e poi non erano mai contenti; chiedevano di apportare sempre nuove correzioni finchè veniva fuori un prodotto personale: In profondità cosa significano queste parole? All’origine negli studi in cui si elabora l’immagine pubblicitaria si mettono in gioco troppa creazione e gusto individuale; circola una libertà in dosi eccessive. Ma in definitiva la pubblicità più ancora che prodotta viene subita e consumata con assuefatta passività. E ancora, la pubblicità non è tanto un progetto aperto, passibile di sempre nuove modificazioni, quanto una cosa definita una volta per tutte che poi scorre, si ripete, scompare.”
Wharol a questo punto si metterà a lavorare come artista in proprio, ma paradossalmente non lo farà per acquistare maggiore libertà ma, all’opposto per intervenire nella circolazione delle immagini piuttosto che nella loro creazione al fine di assumere in pieno la condizione dell’uomo comune, dell’uomo medio americano e così ottenere una compiuta conoscenza della comunicazione artificiale di massa.
La prima conseguenza è il rifiuto dell’invenzione. Warhol rifà ciò che è già fatto, rifà le immagini che stanno sotto gli occhi di tutti per sottrarle all’invisibilità e renderle, per una volta almeno, tanto “vedibili” da farcele scorgere e conoscere realmente. Perché è proprio l’oggetto che ci sta di continuo presente davanti allo sguardo che ci sfugge, che non arriviamo a vedere.
Un grande scrittore americano Edgar Allan Poe nell’elaborare questo concetto scrisse uno dei suoi più illuminanti racconti: La lettera rubata. Ciò che è troppo esposto si sottrae alla nostra percezione visiva: nel racconto, la lettera fortemente compromettente, posata con maligna astuzia nella piena visibilità del ripiano di una scrivania, sfugge alle ripetute ispezioni di una squadra esperta di poliziotti.
Paradosso, ma poi verità anche troppo giornaliera, esperienza comune. Ci rendiamo conto di una qualsiasi cosa, la vediamo, registriamo la sua presenza secondo la qualità e la quantità di esperienza che mettiamo in atto e spendiamo per scorgerla e per adoperarla. E nel tipo di esperienza, più di quella troppo consapevole conta invece l’esperienza fisica, corporale, insieme a quella inconscia. Ma quale esperienza riusciremo mai a compiere di fronte a un manifesto dell’autostrada, ad un’inquadratura del telegiornale, a una foto stampata sulla pagina di un quotidiano? Minima, se non prossima allo zero. Per avere una giusta visione dell’acquario, è meglio starne fuori, non essere il pesciolino rosso che vi nuota dentro.
Ecco la lezione di Wharol: nel rifarla Wharol tira fuori l’immagine dal circuito comunicativo in cui galleggia per renderla, per un momento almeno completamente presente.
Qualunque sia il linguaggio utilizzato, dalle parole alle immagini, il problema sembra proprio essere nel circuito comunicativo , nella nostra percezione e nell’esperienza che mettiamo in gioco. E allora forse è nostra la responsabilità , in quanto pesci rossi,di uscire dall’acquario!

martedì 24 settembre 2013

Oltre le gabbie della logica... alcuni enigmi per liberare il pensiero creativo

Oggi sempre di più il pensiero creativo è considerato strumento trasversale per la crescita personale e professionale.
Rispondere a una domanda significa conoscere la risposta. Certo, questo è ovvio. Ma solo quando sia la domanda che la risposta hanno una base puramente nozionistica o razionale. Questo è ciò che succede, per esempio, quando rispondiamo a un quiz, sia esso semplice o complesso. Ma cosa accade invece quando la domanda presuppone un trabocchetto, uno scarto laterale, quando lo stesso quesito appare del tutto illogico o addirittura incongruente? Bisogna affidarsi alla fantasia, alla creatività, spesso anche a linguaggi che vanno al di là della logica e delle parole. 
Non sempre per affrontare i pensieri e per risolvere i problemi la via migliore da seguire è una linea retta. A volte è utile guardare di lato, camminare di traverso come i granchi. Eppure spesso questo ci riesce difficile….. perché “non è logico!”. La logica e i vincoli della logica spesso ci tengono prigionieri, ci intrappolano nei nostri schemi mentali, anche quando ci accorgiamo che questi in particolari situazioni non sono efficaci. Eppure non riusciamo ad andare oltre.
Andare oltre...

Ricordate la storia di Ulisse? Quando Ulisse si fa legare dai compagni all’albero della nave per poter udire, solo lui, il magico canto delle Sirene senza restare vittima di quella pericolosa seduzione, non fa che dare espressione ad una dimensione tipica della razionalità umana: l’adozione di tecniche e vincoli in grado di garantire il conseguimento di determinati obiettivi, la capacità di operare anticipazioni e di agire in base a un calcolo logico delle conseguenze.
Come ci insegna però il pensiero laterale (espressione coniata da Edward De Bono) in certi casi è necessario abbandonare tutto ciò che ci sembra scontato e “scartare di lato”, deviare per lasciare libertà al pensiero affinchè possa trovare una soluzione del tutto alternativa e che al pensiero convenzionale può sembrare sbalorditiva. E a questo punto mettiamo in gioco quell’elasticità che è anche della mente e non solo dei muscoli e che, per fortuna, è un dono egualitariamente distribuito fra gli uomini e che, come i muscoli, si può e si deve allenare se vogliamo ottenere dei risultati.
... per liberare il pensiero creativo

E’ di quelle strategie, quei trucchi, quei metodi e quei “giochi seri” che ci permettono di liberare il pensiero creativo e di dare voce alla parte destra del nostro cervello, quella che spesso consideriamo come la sorella minore della parte sinistra logica e saccente, che voglio parlarvi in questo e negli altri articoli che seguiranno, proponendovi alcuni giochi ed esercizi che spazieranno dagli enigmi, ai disegni alla scrittura creativa. E’ un modo per darsi il permesso di allenare quei processi mentali assolutamente differenti da quelli lineari della consueta logica alla quale siamo abituati.
Gli enigmi che vi propongo per iniziare prendono forma da situazioni che alla prima impressione sembrano strane o illogiche. Bisogna dunque elaborare queste curiose circostanze per individuarne esattamente la chiave.

PARTITE A SCACCHI
Due maestri di scacchi hanno disputato cinque partite. Ognuno di loro ha vinto lo stesso numero di partite dell’altro e non ci sono state partite terminate in parità. Com’è possibile?

IL MISTERO DEL BAGNO TURCO
Quattro distinti signori si incontrano ogni giovedì in un bagno turco all’ora di pranzo. Antonio è un musicista e porta sempre con sé il registratore a nastro con l’auricolare. Bruno è un impiegato di banca gelosissimo del suo thermos con bibite ghiacciate. Carlo e Daniele sono due assicuratori che approfittano della pausa per leggere un buon libro l’uno e un quotidiano l’altro.
Un giovedì si trova nella sala il corpo di Daniele con una profonda ferita all’altezza del cuore. La polizia interviene immediatamente bloccando i 3 signori gli unici presenti e sequestrando gli oggetti in loro possesso.
 
Nessun altro oggetto è stato rinvenuto nel locale.
Chi è l’assassino? E come ha fatto a uccidere Daniele?

I BISCOTTI
Il governo danese rifornisce gli impiegati di un suo particolare dipartimento con biscotti che vengono loro consegnati, regolarmente, ogni mattina. Per quale scopo?

RE GIORGIO IV
Giorgio IV nacque nel 1736 e regnò in Inghilterra dal 1820 fino alla sua morte, nel 1830. La storia non lo descrive come un sovrano degno di importanti menzioni. Ma un particolare del suo abbigliamento fu decisamente innovativo. Fu il primo ad indossare scarpe che prima di lui nessuno aveva nemmeno potuto immaginare. Da allora quel tipo di calzature è entrato nell’uso comune, le state indossando anche voi in questo momento. Ma all’inizio dell’800 erano una vera e propria eccentricità.
 
Che cosa avevano di curioso le scarpe di Re Giorgio IV?

Buon divertimento a quanti di voi non conoscono già le soluzioni a questi enigmi. 
Vi lascio con una frase di Sherlock Holmes, sopraffino esempio di pensatore laterale uscito dalla penna di Sir Conan Doyle: “Le condizioni più importanti possono dipendere da particolari, apparentemente i più trascurabili”.



venerdì 23 agosto 2013

INCONTRARSI

Incontrarsi….talvolta  un incontro “quasi” casuale , si inerpica verso il cielo e, con il battito d’ali di un misterioso “effetto farfalla” può  creare il più bello degli arabeschi del destino…..
Misteriosi eventi sincronici sembrano costellare la vita di ognuno di noi. Improvvisamente un evento accade in perfetto sincronismo con un pensiero, e l’evento stesso racchiude sempre un significato profondo il cui scopo è quello di guidare la nostra vita verso il proprio destino….
Incontrarsi….. è ciò che l’antico bambino dentro di noi ricorda ancora: il fuori è dentro e il dentro è fuori, la fiaba è eterna, come eterno è il simbolo cangiante della magia.
Incontrarsi…..nel tempo-non tempo, nel sogno più reale di ogni caleidoscopico sogno… è il sogno che  esce dal territorio della notte dalle oscurità, che ci apre le porte dell’altrove, dove ogni spazio del pensiero è un luogo che non spiega ma evoca…..
Incontrarsi…..là dove si sciolgono le ristrette e aride categorie del razionale… per respirare all’unisono.
Incontrarsi….. è il tempo non consecutivo. Qui, le emozioni vivono, come realtà e sogni dell’anima….mai sentono il bisogno di essere spiegate.
Qui la parola si fa colore e il colore si fa parola…. E le mani si intrecciano nel calore dell’oro.
Incontrarsi……. Dove il percorso dell’anima è il  luogo in cui la libertà non è più “mi basto” ma “ho bisogno di te”
Incontrarsi…… è l’albero sotto il quale fermarti se ti perdi….. perché è qui che, se ti perdi, il bosco ti ritroverà.
Incontrarsi è il tintinnio vivo, scrosciante, argentino della risata., il punto in cui l’ordine cosmico sembra ricollegarsi all’ordine umano, il fragore del lampo che dirige il cammino.
Incontrarsi……come goccia d’acqua nel mare….ne è autonoma ma inscindibile parte….semplicemente essa è goccia e mare insieme.
Incontrarsi…… è la luce che da fuori queste persiane…….filtra dentro e ci illumina





mercoledì 24 luglio 2013

SALTA...E LA RETE APPARIRA'...OVVERO "LA POESIA DELL'INVISIBILE"

"La fortuna ha sempre un grosso potere. Lascia che il tuo amo sia sempre in acqua: nella pozza in cui meno te l'aspetti, ci sarà un pesce"
OVIDIO

Nei miei post, pescando dalla cassetta degli attrezzi, parlo spesso, così come faccio ogni giorno con le persone , di come liberarci da tutto ciò che ci limita perchè il primo passo è certamente quello di liberarci da tutte quelle cianfrusaglie racchiuse nei cassetti del cuore e nelle pieghe della mente  che ci tengono vincolati in maniera inefficace ai ricordi, alla scarsa autostima, al dialogo interno negativo con noi stessi, alla paura di soffrire, alla rabbia.

Bene! Questo è un passaggio, ma non basta.
Arriva poi un momento in cui se vogliamo diventare farfalle dobbiamo decidere di spiccare il volo. E non è a caso che ho pensato ad una farfalla, perchè nel momento in cui decidiamo davvero che vogliamo cambiare alla determinazione dobbiamo dare le ali per volare e queste ali chiedono leggerezza, colori, capacità di voler cavalcare le onde del vento, creatività.

Se pensate di poter essere i creatori della vostra vita come se fosse un'opera d'arte vi troverete a vivere il viaggio più straordinario che potete immaginare, perchè ogni attimo della vostra vita vi riserverà sorprese, perchè il viaggio sarà più ricco del raggiungimento della meta. Non crediate però che tutti siano dalla vostra parte. Spesso vedere le persone che ci stanno vicino , cambiare, non ci piace, non perchè non gli vogliamo bene ma perchè la cosa che più crea resistenza negli esseri umani è il cambiamento.

Spesso non spicchiamo il volo perchè ci lasciamo bloccare da una serie di cose di buon senso, di convenzioni imposte, di blocchi che oggettivamente non esistono. Un pò per l'incapacità di vederli, un pò per la paura di ciò che pensano gli altri se non rientriamo negli schemi normali (mi chiedo sempre normali per chi, poi!). Così una volta ci diciamo che è troppo tardi, una volta che non abbiamo soldi, una volta che non abbiamo tempo, una volta saltiamo il presente da vivere per occuparci di cose del tipo "ma se un giorno....", già....troppo comodo come alibi! Non decido di fare una cosa adesso perchè la logica mi dice che un giorno potrebbe accadere qualcosa per cui cambierò la mia decisione. Si, avete capito bene, questo è solo un alibi vigliacco per non prendersi responsabilità sul vivere il presente e per non mettersi in gioco.

Del resto si sa, diventare creativamente se stessi comporta il metterci la faccia, il lanciare sfide creative, il vivere le emozioni a pieno...l'essere come siamo, che spesso si sa, non a tutti quelli che ci stanno intorno piace. E allora vuoi mettere la facilità di trovare almeno dieci buoni motivi per cui....potrei fare ma non faccio?...

La leggerezza non è incoscienza, la creatività è un metodo per ottenere le cose, per dare le ali ai sogni, non è uno sterile volo di fantasia e non facciamoci troppe domande se ci sembra strano essere uno splendido fiore che cresce sopra un sottile gambo verde. E' la nostra autostima, il credere nel sogno e il saper cogliere ogni piccola vittoria e sconfitta della nostra giornata quel gambo verde in cui passa la linfa vitale: il gambo verde che porta al fiore.

Parafrasando Calvino, che sulla leggerezza e sulla sua importanza ci ha dato lezioni impagabili, la leggerezza che voglio suggerirvi oggi è quella della "poesia dell'invisibile, la poesia delle infinite potenzialità imprevedibili".

Ci vuole coraggio...il coraggio di pensare che le cose possono anche andare bene!

E ci vuole il coraggio di abbandonare quella che per molti sembra essere una sorta di "coperta di Linus": la rabbia

La rabbia è uno strumento, non un padrone!
E' ciò che ci deve spingere spingere al cambiamento.
Una compagnia scomoda certo ma se vogliamo volare ricordiamoci sempre che la rabbia non può mai essere un'azione in sé e per sé, bensì un invito all'azione.

Insomma: "Salta...e la rete apparirà"

sabato 20 luglio 2013

L'UTILIZZO BIVALENTE DELLE PAROLE

Bello strumento le parole...
sono quello strumento che ci permette di parlare, di pensare, di usare le... parole... un vero e proprio boomerang...
Dico spesso che le persone dimenticano che una parola uscita dalla bocca o dalle dita che compongono pericolose o meravigliose sinfonie sulla tastiera del computer o del telefonino, perchè spesso le dita sono più veloci del cervello...troppo più veloci hanno un potere incredibile: le parole sono azione, fatti. Si può chiedere scusa per quello che si è detto, ma non si possono cancellare gli effetti ottenuti dalle parole...e dopo, haivogliatè a chiedere scusa.

Avete mai provato a pensare a quell'irritazione che vi sale alla testa quando qualcuno vi dice: "sei sempre il solito ", "sei come tutti", "sei uguale al mio ex" , "sei sempre quello che non studia"  e potremmo andare avanti all'infinito.

Oppure avete provato, quando le parole sono sorprendenti e positive a trovarvi immediatamente catapultati di fronte ad uno specchio che vi rimanda di voi un'immagine splendente?

Il punto è che le parole sono molto di più che semplici lettere ordinatamente composte in un codice comunicativo apparentemente tecnico.

Ogni volta che diciamo qualcosa ridefiniamo la relazione con il nostro interlocutore e ogni volta che scegliamo le frasi e le parole per comunicare con qualcuno gli diamo un feedback su se stesso e su ciò che noi, nel profondo pensiamo di lui.

Il bello è che sono le parole inconsce, quelle che scegliamo senza rifletterci, quelle frasi che ci escono così, senza pensare, che fanno capire esattamente chi siamo e cosa pensiamo, anche se per fortuna, spesso le persone a cui diciamo le cose non ci ascoltano con toppa attenzione o non si pongono il problema.

Spesso selezioniamo solo ciò che ci vorremmo sentir dire  perchè leggere le parole per quello che sono e per quello che ci stanno dicendo esattamente non è che ci faccia proprio del tutto piacere sempre!

Vi siete accorti che scegliamo quasi sempre le stesse parole e le stesse frasi?

Proviamo a pensare a quante volte giustifichiamo il fatto che le persone non ci cercano o non ci chiamano perchè "non hanno tempo". Paul Watzlawick grandissimo studioso della comunicazione ci esplicita una regola:  "Non si può non comunicare"  e questo significa che anche un silenzio o un'assenza sono una comunicazione esplicita che ci da degli indizi...

L'ambivalenza delle parole ha questo di bello: che come possono essere lame taglienti nell'etichettare gli altri con un "tu sei così", "tu sei sempre così" e cose varie che producono effetti da affilato bisturi, possono allo stesso modo essere polvere magica che incanta serpenti e conduce le persone a cui le rivolgiamo in "mondi altri" nell'immaginario in cui tutto può, in universi simbolici in cui tutti i problemi si possono risolvere e niente è insormontabile.

La parola in sè e per sè è uno strumento, la scelta dello strumento dipende dal nostro cuore...
La consapevolezza del fatto che le parole producono atti dipende dalla consapevolezza e dall'attenzione che poniamo verso gli altri...

In fondo la comunicazione non è il più grande paradosso dell'esistenza umana?
Utilizziamo la comunicazione per comunicare.

Può essere prezioso strumento o grande trappola per topi.

Lavoro ogni giorno per accompagnare le persone nel cambiamento e questo tema è, per me fondamentale, le parole sono i mattoni con cui costruiamo i nostri pensieri e partire da qui credo abbia un senso importante.


mercoledì 17 luglio 2013

venerdì 12 luglio 2013

IL CORAGGIO DEL SORRISO

Dico sempre che il grande paradosso è che non possiamo essere il punto di vista esterno di noi stessi e così spesso quando pensiamo a ciò che viviamo siamo solo come il pesce...che non sa dell'esistenza del mare, perchè ci vive dentro.
E' da domenica scorsa che ho deciso di scrivere un post...quello di domenica è rimasto nelle bozze e poi è sparito con un colpo veloce del dito sul tasto "canc".
Scrivo questi post perchè l'esperienza vissuta  a fondo, se condivisa, talvolta può essere uno spunto per le altre persone.
Ho deciso di cambiare rotta: avrei voluto scrivere un post che parlava di cancellare cose, di combattere.
Poi siccome credo che le cose non accadano mai per caso...ho capito. Ho capito che la via del cambiamento non può essere perseguita senza che a guidarla sia un linguaggio positivo.
la legge dell'attrazione dice che l'universo ti mette a disposizione tutto e sia che tu pensi una cosa negativa o positiva questa ti arriverà. L'universo ama anche le persone più rapide....quelle che hanno fiducia.
Talvolta, per difendere noi stessi crediamo di poter decidere anche per gli altri, talvolta la nostra insicurezza ci preclude di vivere il presente.
La logica prende il sopravvento sull'espressione degli occhi di chi ci sta parlando... prendiamo decisioni utilizzando lo schema più di buon senso invece di seguire l'istinto.
Perchè è ovvio, è più di buon senso pensare un finale negativo piuttosto che vivere un percorso.
Del resto è una scelta...sta a noi scegliere se essere rondini o aquile e a che altezza volare...
E' più facile voler controllare tutto e giocare sul sicuro, decidere il copione...eppure a un certo punto, se si prende la via del seguire i segnali, del cogliere la ricchezza della vita, tutto questo non da soddisfazione.
E' più facile correre veloci che stare fermi sotto un albero ad accogliere gli eventi...
Talvolta per difendere se stessi non si capisce che il messaggio che mandiamo agli altri è qualcosa di simile a "me ne vado perchè non mi fido di te"...anche se invece vorremmo dire l'esatto contrario.
Eppure basterebbe parlare, dire le cose esattamente per come le sentiamo dentro.
la logica, l'orgoglio, gli stereotipi, le convenzioni, gli schemi di altre storie che non sono le nostre, sono solo sovrastrutture mentali.
Ci difendiamo da un fantasma, da una catastrofe che potrebbe anche non accadere mai e in questo modo ogni piccolo istante che potrebbe essere un sorriso si trasforma in malinconia....
eppure non è sciocco vivere il presente, il qui e ora, più di quanto possa sembrare sciocco pensare che con la logica si possa disegnare un futuro indenne da rischi e da sofferenze..
La fiducia è strada che non vive di logica, la vita ti sorprende solo quando decidi che è di un istante dopo l'altro che si vive...non di ricordi, non di logiche aspettative non di salti in avanti o all'indietro nello spazio e nel tempo.
A volte richiede più coraggio sorridere, o sedersi sereni sotto un albero, chi l'ha detto che la logica ha più buon senso dell'anima?


venerdì 28 giugno 2013

QUANDO LA POESIA COLORA LA PITTURA DA GIOVEDI 4 LUGLIO LA MOSTRA A PRATO



La prima mostra di quella che sarà una serie di appuntamenti itineranti si terrà a Prato dal 4 luglio al 4 settembre presso il Bar le Bigonge, centralissimo locale  del centro che, nelle sere d’estate  è meta di molti pratesi e non.
Il progetto nasce dall’incontro tra le poesie di Leonardo Manetti e la pittura di Claudia Cavaliere  e la mostra vedrà in esposizione quadri in tecnica mista con le poesie scritte sopra, in una danza di parole e colori che si fondono.
L’arte  diventa un luogo che è quasi un concetto sociale , un luogo anche socializzante  se vogliamo. Il luogo in cui non importa quale sia la forma di arte scelta, ma è l’incontro fra persone che condividono un modo di essere a creare qualcosa di speciale. Sociale  e socializzante perché poesia e pittura si affacciano anche nei luoghi non convenzionali. Le poesie di Leonardo sono racchiuse in un bellissimo libro, appena uscito, dal Titolo “sChianti” edito da “Tempo al Libro” che accoglie i lettori nelle librerie, i  quadri  di Claudia sono ad attendere  i visitatori in alcune gallerie d’arte dislocate fra Parigi, Roma, Cremona, Lucca…
Con questo progetto Leonardo e Claudia vogliono  far uscire i libri e i quadri dai luoghi a loro destinati per definizione  e portare  parole e colori incontro alle persone e, in questa prima occasione intorno a quadri e poesie  nei momenti conviviali vorrebbero raccogliere  le loro “tribù” ma anche  persone nuove che forse incontreranno per caso le loro parole e i loro colori e magari, questa è la speranza, in qualche modo ne saranno arricchiti e, certamente, in qualche modo arricchiranno il poeta e la pittrice..
La frase di Leonardo che fa da guida alla mostra è quella che ne definisce il senso e lo spirito “La massima espressione dell’amore e della felicità è la condivisione”.
L’inaugurazione della mostra si terrà giovedì 4 luglio presso il Bar Le Bigonge in Piazza Buonamici a Prato  a partire dalle ore 18 e 30.
 La serata inizierà con la presentazione del libro di Leonardo “Schianti” e proseguirà  con un aperitivo. La serata sarà inserita nei giovedì del centro che vedono Prato sempre affollata di voci e colori.
All’interno della mostra Leonardo e Claudia si sono trovati subito d’accordo nell’inserire un tema importante. L’incontro con l’associazione “365 giorni al femminile”, che si occupa di violenza alle donne e di condizione femminile,  ha dato lo spunto per inserire tra i quadri “Adelina”. “Adelina” è una delle ultime, bellissime poesie di Leonardo, Claudia l’ha  dipinta su un quadro speciale che sarà in mostra a Prato e che poi sarà messo all’asta per donare l’intero ricavato  all’associazione.
Mi sembra molto bello –dice Claudia- che questa idea nasca dalla condivisione di un’opera dipinta da una donna sulle parole scritte da un uomo che tocca il tema con grande profondità e sensibilità.  E’ un piccolo contributo anche alla sensibilizzazione e alla cultura  sulle politiche di genere che il nostro gioioso fare ci permette di dare.”

E continua: “Le cose a 4 mani sono spesso complicate, a volte sembra difficile interpretare con un’immagine le parole che sono nella testa e nel cuore di un’altra persona  che magari le avrebbe volute rappresentate diversamente. Eppure in questo caso è stato tutto molto facile.”
Si capisce allora che forse quello dell’oggetto dell’arte è un finto problema…. Non importa se un pittore dipinge astratto o figurativo, non importa se un poeta parla di amore o della sua terra, forse ciò che colpisce e che arriva al cuore è il riconoscere un pittore o un poeta dalla sua “calligrafia artistica” che è poi una “calligrafia del sentire”.
Ecco, forse per questo è facile….
“La prima volta che ho pensato di dipingere le poesie di Leonardo mi sono detta che nelle sue poesie c’è la terra, ma c’è anche l’orizzonte, le radici e il sogno. Mi dico spesso che nei miei quadri le radici coincidono con il sogno….forse per questo sono spesso fiori e alberi?”
Ecco come Leonardo racconta il progetto:
“L'incontro di arti diverse rende ancora più bella l'arte, soprattutto per l'emozione che si amplifica. Le mie parole grazie alla pittura, hanno preso maggiore forma, corpo e movimento. Leggere una poesia scritta in solitudine é immaginazione, guardare un quadro ad una mostra é sogno...guardare e leggere un quadro colorato dalla poesia é immaginazione, sogno e Amore.”
E ci dice ancora Leonardo:
“Le mie poesie sono molto descrittive ma la fusione con la pittura di Claudia le ha rese vive, e l'Amore delle parole si trasmette da tutte le parti del corpo e arriva al cuore prima. Le parole e i colori si intrecciano in un tutt'uno, un vortice di danza che ti prende e ti rapisce.”
Ad impreziosire la condivisione, il 4 luglio all’inaugurazione sarà presente il pittore Alessandro Matta, l’autore della copertina del libro di Leonardo. La riproduzione stampa del quadro che ha ispirato la copertina, “Teste fra le nuvole”, sarà presente durante l’intera mostra. Alessandro è un pittore elbano che vive a Firenze e sta ottenendo con la sua pittura numerosi riconoscimenti e grande consenso. I suoi ultimi successi, ha vinto il Premio Tiziano 2012, La Percezione Psicologica con l’opera “Lo sai che non chiama” nella categoria - Arte Nigrescente la realtà psicologica – e parteciperà alla IX edizione della Biennale di Firenze che si terrà dal 30 novembre all 8 dicembre 2013 alla Fortezza da Basso.
E nell’incontro fra arti non poteva mancare il teatro, sarà Fabio Tosi, attore della Compagnia Teatrale Sganzisgatto e impegnato in numerose attività teatrali, a regalare la sua interpretazione delle parole di Leonardo leggendo per gli ospiti le poesie.

Il bar le Bigonge è aperto tutti i giorni.
Il libro “sChianti” edito da “Tempo al libro” sarà in distribuzione alla Libreria Mondadori in Via Guizzelmi 13\15.


Il poeta:  
Leonardo Manetti è nato a Firenze, laureatosi in viticultura ed enologia, è imprenditore agricolo. Poeta e attore di teatro.
Ha partecipato a diversi concorsi e rassegne di poesia ottenendo numerosi riconoscimenti.
Ha pubblicato con la casa editrice Da Tempo al Libro di Mauro Gurioli,” sChianti”, una raccolta di 30 poesie che ripercorrono il viaggio delle due tappe più dolorose ma allo stesso tempo gioiose della sua vita, un Incidente e l'Amore.

La pittrice:
Claudia Cavaliere è nata a Latina e vive a Prato. Laureata in psicologia, si occupa di mental coaching per lo sport e per lo sviluppo personale, oltre che di formazione aziendale. Autrice del libro “Rugby, dal campo all’azienda. Oltre il semplice fare squadra”. Edito da Guerini & associati.
Dipinge e scolpisce dal 2004, ha partecipato a numerose mostre collettive e realizzato diverse mostre personali tra le quali: "Il colore dei pensieri", "L'abito di cristallo", "Paris" "Incontrarsi". Nel 2006 si e' aggiudicata il premio Pegaso della Regione Toscana per le arti visive. Attualmente i suoi quadri sono esposti in permanenza in alcune gallerie d'arte a Parigi, Roma, Cremona, Lucca e Pietrasanta.

Leonardo Manetti: www.chiantipoesia.blogspot.it
www.leonardomanetti.it
www.laborsport.com
                              
Tel. 3294055980




sabato 22 giugno 2013

Semplice...

Sarebbe semplice....senza tutte quelle sovrastrutture che la nostra cultura ci impone.
Qualcuno ha provato ad essere una persona che nelle relazioni umane dice le cose esattamente per quelle che sono?
Molti di noi dichiarano di volere dagli altri sincerità, ma spesso confondiamo la sincerità con altro, ovvero non :"sii sincero con me" bensì: "dimmi ciò che voglio sentirmi dire".
La mente umana vive di paradossi e questo è un dato di fatto e così anche la realtà per quella che è non è sempre cosa così gradita, nonostante molti dichiarino che è ciò che desiderano!
Non sopporto le persone che devono catalogare tutto per aggrapparsi ad un'apparente sicurezza, che non è poi garanzia di felicità anzi, e così quando conoscono qualcuno devono subito domandarsi in che cassetto dei rapporti sta l'altro: collega, amica, amico, fidanzato, fidanzata occhessoio.
Catalogare le cose prima che nascano è il miglior modo per non farle neanche vivere.
Faccio la pittrice non a caso e so che la vita è fatta di sfumature, di mille sfumature e i colori non mi sembrano mai abbastanza per esprimere ciò che vorrei. Ma mi occupo anche di relazioni umane e so che c'è molta differenza fra sfumare armoniosamente colori su una tela e pacciugare buttando incautamente colori a caso senza una polvere magica che li sfuma.  E allora per dare alle armoniose e ricche sfumature la possibilità di esistere c'è, talvolta bisogno di un..."o è bianco o è nero". Ed è il bianco e il nero della cornice, della regola entro la quale alcune cose sono estremamente chiare e trasparenti in ciò che un rapporto fra persone è o non è, nel decidere e dichiarare ciò che si vuole e ciò che non si vuole. Si perchè non siamo nel mondo di Mary Poppins e  a chi si vuole bene si fa del bene dicendogli le cose come sono e non con un ipocrita "basta un poco di zucchero e la pillola va giù"...ah...premetto che non ce l'ho con Mary Poppins, anzi mi piace un sacco, soprattutto per quella borsa con cui va in giro...piena di cose...più o meno come la mia!
All'interno di questa cornice netta che si staglia contro il cielo e definisce le regole del rispetto, allora si che lì dentro le sfumature sono il sale della vita e le cose possono essere vissute per come sono, in tutto il loro stupore, in tutto il loro non essere necessariamente ciò che è già stato, ma anche storie che il mondo ancora non ha visto.
Senza questo assoluto del "o è bianco o è nero" spesso le sfumature sono solo la debolezza di chi non sa cosa vuole, diventano paravento, confusione, indecisione, ambiguità e ambivalenza
"E' bianco o è nero" non è un confine, bensì una porta verso insondate e inesplorate possibilità...


lunedì 17 giugno 2013

il sesto senso non sbaglia!

Non c'è niente da fare...il sesto senso è come i fantasmi! Tutti ne parlano e nessuno l'ha mai visto.
Eppure, che ci piaccia o no è una guida intelligente. Si sente qualcosa e raramente si sbaglia...gli indizi ci portano lì, ma cercano di convincerci che non è così, che ci stiamo sbagliando...poi spesso a distanza di tempo ci si rende conto...che era veramente così.
Siamo abituati a trattare con il pensiero logico anche i sentimenti che, ahimè o per fortuna, di logico non hanno proprio niente.
Se pensate che essere se stessi sia facile sempre e comunque...provate!
Essere se stessi e diventare ciò per cui siamo venuti al mondo è un lavoro quotidiano, talvolta contro tutti, talvolta anche contro la nostra volontà.
Talvolta vanno più di moda e sono più rassicuranti le fatue rose di serra che non le forti e variegate piante selvatiche.
Eppure basterebbe guardare la realtà dei fatti.
Se qualcosa non ti torna.....probabilmente è meglio seguire il proprio sesto senso, se una persona non passa il suo tempo con te non vuole dire che non ha tempo, che ha mille cose da fare...vuol dire che semplicemente non ha voglia di stare con te.  Ci sono persone che stanno con noi solo perchè se no perderebbero qualche opportunità..........ci sono persone che non mantengono ciò che dicono, semplicemente perchè il rispetto è meno importante di ciò che di meglio trovano da fare strada facendo...
Se dici cose belle e dall'altra parte ricevi solo un "dille pure" e non un "anch'io"....se....se il tuo sesto senso ti dice che non è come te la raccontano....ma perchè stare lì?
vedere la realtà e le persone per quelle che sono realmente...è la forma più grande di libertà.
Chi ha detto che i sensi sono cinque? Ce n'e' un sesto....forse anche un settimo.....fidarsi di ciò che si sente significa fidarsi di se stessi...e al di là di tutte le congetture sul pensiero positivo.questo è il vero primo pilastro dell'autostima!

domenica 9 giugno 2013

CI HANNO DETTO CHE...MA CHI CE LO HA DETTO?

Si parla sempre più spesso di condizione femminile. Oggi riflettendo su questo la lista degli stereotipi e del buon senso allo stato brado che producono danni culturali mi si è presentata di colpo davanti e così, viaggiando in treno, ho scritto parte di ciò che, alle donne in generale ogni tanto viene detto, come se tutto ciò fosse parte di una realtà data, parafrasando Berger & Luckman, di una costruzione sociale della realtà fatta di convenzioni la quale però, ahimè, spesso viene percepita come una realtà oggettiva e incontrovertibile. tanti piccoli "ci hanno detto che..." contribuiscono alla spesso scarsa autostima femminile....
chissà in quanti di quelli che sono venuti in mente a me ci riconosciamo...
Ci hanno detto che...il lavoro dev'essere per forza un pò noioso e se troviamo un amore per forza finirà.
Ci hanno detto che...se sei seriosa e acida sei più autorevole che se sei sorridente.
Ci hanno detto che...invecchiando un uomo migliora e invecchiando una donna...invecchia e basta!!!!
Ci hanno detto che...per essere belle e attraenti dobbiamo necessariamente arrampicarci su tacchi per talune di noi impraticabili e infilarci in improbabili tubini che non starebbero bene neanche a Audrey Hepburn nel pieno della forma! 
Ci hanno detto che...se una donna è troppo intelligente gli uomini si spaventano e scappano.
Ci hanno detto che...dobbiamo prendere atto del fatto che "l'uomo è cacciatore".
Ci hanno detto che...tanto lo fanno tutti...
Ci hanno detto che...se esprimi i tuoi sentimenti, per bene che ti vada ti sentirai dire qualche originalità del tipo "cara ti vedo troppo presa e non vorrei prima o poi che tu soffrissi per me".
Ci hanno detto che...siccome abbiamo voluto la parità...la galanteria è morta e le buone maniere la stanno seguendo a ruota.
Ci hanno detto che...una donna single è una sfigata e certamente starà cercando marito, mentre un uomo single è un ganzo.
Ci hanno detto che...di fronte all'evidenza "cara ti sbagli", "non è come credi", "non hai capito".
Ci hanno detto che...l'indipendenza assoluta sarebbe stata la panacea di tutti i mali, mentre forse sarebbe stato meglio dare la possibilità di essere se stesse.
Ci hanno detto che...con tutto quello che succede nel mondo...non vorrai mica essere esuberante e sorridente vero???????

Ci hanno detto....eppure basterebbe chiedersi ogni tanto...ma chi ce lo ha detto? Non credo che esista un dio del finto buonsenso, delle convenzioni che annientano l'identità e l'autostima delle persone...
Invece di tanti corsi di autostima...talvolta basterebbe un semplice "ma chissenefrega!!!!!"

martedì 4 giugno 2013

COME FRAMMENTI DI UNO SPECCHIO...

Lo specchio è lo spazio magico delle combinazioni complesse.
I frammenti dello specchio, lo specchio stesso rappresentano il simbolismo della nostra identità e della nostra stessa vita.
Lo specchio ci parla dei problemi della simmetria, della logica, dei mondi possibili, della mitologia.
Secondo la concezione psicoanalitica di Lacan lo “stadio dello specchio” è una specifica tappa evolutiva nel cammino che conduce l’uomo alla presa di coscienza del proprio corpo. Lo specchio quindi come elemento di autoidentificazione.
E per Alice, nel romanzo di Lewis Carroll “Attraverso lo specchio”, il mondo dello specchio e Alice sono il mondo in cui si crea la nostra logica di senso. E’ il mondo in cui ci sono le cose e gli stati di cose e il senso è il senso del pensiero in superficie. E’ lo spazio in cui si ricompone  la dicotomia, che sempre ci accompagna, fra spazio interno e spazio esterno.
Noi siamo l’idea di un qualcosa sempre in movimento, siamo un circolo in cui i contrari non possono per forza venire meno. C’è un momento in cui metaforicamente ci fermiamo un attimo e, guardandoci nello specchio, l’anima si “riconosce” nel suo continuo divenire e nella comprensione del nostro essere troviamo la conquista della nostra libertà. Ogni frammento dello specchio ci rimanda un frammento di noi ed è nel gioco di specchi che si ricompone la coincidenza degli opposti.
Ma quand’è quel momento in cui ci riconosciamo nello specchio? Quand’è che, guardandoci nello specchio ci diciamo “hei! Ma quello sono proprio io!” Quand’è che i pezzi, i frammenti dello specchio che ci rimanda sfaccettature e pezzi sconnessi di noi, si ricompongono?
Forse è il momento in cui capiamo qual è il “senso” del nostro cammino, afferriamo la compiutezza della strada che stiamo percorrendo e allora, guardandoci nello specchio ci riconosciamo. Attribuiamo un senso al nostro “viaggio”, al nostro “vagabondare” nel mondo e nella nostra identità.
E, a proposito di questo viaggio ecco cosa racconta Herman Hesse parlando di Boccadoro: “Dal viaggio era tornato un vecchio molto stanco e diventato un poco ottuso, un uomo sparuto, che non faceva certo bella figura, e tuttavia non gli era affatto antipatico, anzi gli piaceva, aveva nel volto qualcosa che il bel Boccadoro di un tempo non aveva avuto, in tutta quella stanchezza e decadenza c’era un tratto di contentezza, oppure di equilibrio interiore. Rise un poco fra sé e vide ridere anche l’immagine dello specchio: un bel tipo aveva riportato a casa dal viaggio!”.
E’ quando ci riconosciamo e ci sorridiamo nello specchio che la vita ha trasformato anche noi, come Boccadoro, in “un bel tipo”. E’ quando i pezzi della nostra vita, come i frammenti dello specchio, si rimpiazzano l’un l’altro e si sistemano uno alla volta con il procedere del viaggio nelle peripezie della nostra trasformazione psichica. Nel momento in cui ci si appropria del “motivo” del nostro procedere tutti i pezzi si rivelano frammenti di uno specchio che ricompongono la sola immagine del nostro volto. A questo proposito Carl Gustav Jung scrive: “Lungo il cammino della vita, non facciamo che incontrare sempre di nuovo noi stessi sotto mille travestimenti”.
E nella biografia di Tadeo Isidoro Cruz, Luis Borges racconta: “Nella notte in cui, con i suoi uomini, era sul punto di catturare l’assassino a cui dava da tempo la caccia, ebbe il suo lampo e cominciò a comprendere. Comprese che un destino non è migliore di un altro, ma che ogni uomo deve compiere quello che porta in sé. Comprese il suo intimo destino di lupo, non di cane da gregge, comprese che l’altro era lui.”
C’è nel nostro tentativo costante di ricomporre una totalità con i frammenti dello specchio la necessità di prendere i singoli pezzi di ciò che siamo e di ciò che accade, di riproporli e di riformularli costantemente per rappresentare quel senso che ci sfugge, quel senso che costruiamo quando abbattiamo quel sottile confine che divide l’ovvio dal profondo.
E quando troviamo il “senso”, allora ci è chiaro il disegno secondo il quale i pezzi si ricompongono.

Ed è nella nostra sfida di  ricomporre i pezzi e di riconoscerci nell’immagine che ci rimanda lo specchio che spesso, come Alice nel paese delle Meraviglie saltiamo “Oltre lo specchio” per appropriarci di tutta  la “complessità del senso” fra la percezione immediata e il senso dell’assimilazione. E per arrivare al “senso” come Alice dobbiamo non dobbiamo stupirci se per arrivare in un posto è necessario camminare nella direzione opposta, dove il tempo scorre al contrario, dove per restar fermi bisogna correre a perdifiato. Un mondo in cui il passaggio dalla realtà al sogno avviene in modo dolce e morbido inserito in una continuità e non in una frattura.

giovedì 30 maggio 2013

LA SFIDA........


La casualità si presenta di fatto come un’entità fondamentale per la generazione della vita, capace di mettere in questione diverse affermazioni sull’ordine funzionale al di là del caos. In un certo senso si può dire che le cose evolvono e si adattano all’ambiente attraverso iniezioni di bit di rumore casuale, altrimenti restano intrappolate nella monotonia della matematica. Se poi questo sia un limite della nostra matematica o  una necessità della vita non è dato saperlo”
(JOSEPH P. ZBILUT)

C’è un’affascinante dinamica non lineare che ben si adatta ai sistemi e agli esseri viventi, che intreccia il livello biologico-molecolare con quello “relazionale“ e dell’integrazione, il livello psico-sociologico, se così lo vogliamo chiamare.
Credo che il linguaggio delle parole che già conosciamo non sempre basti a descrivere la complessità del mondo e delle persone e mi piace allora girovagare  tra il sapere e le sensazioni per arricchirmi di metafore e linguaggi che spalancano le porte su “mondi altri”, su visioni da diversi punti di vista di poliedriche realtà.
Per mantenersi elastici gli esseri umani devono continuamente esercitarsi a guardare le cose da più punti di vista, evitando di irrigidirsi in una singola prospettiva. Mi piace l’idea di questa ginnastica mentale che porta alla spontaneità. E’ un esercizio costante, anche perché la nostra mente, sia per economia che per bisogno di sicurezza, tende a costruire dei punti fermi. Per i sofisti l’arte della variazione del punto di vista rappresentava un processo fondamentale, come la capacità di inventare soluzioni nuove e creative superando schemi prefissati divenuti inefficaci; infrangendo creativamente l’ortodossia. Tutto ciò anticipava la moderna filosofia della scienza, il cui imperativo etico è “comportati in modo da aumentare le possibilità di scelta” (VON FOERTER; 1971). Ecco perché oltre al linguaggio dei colori, dei suoni, dei sapori mi piace butare uno sguardo anche sul linguaggio della scienza, che molto ha da raccontarci sul nostro cavalcare le onde del nostro oceano interiore, che è anch’esso un invito a far si che la nostra mente non tenda a proteggersi, intrappolandosi in armature di pensiero. La sfida costante ai nostri limiti è, da sempre, quello che alimenta l’entusiasmo di vivere e di questo ci accorgiamo sia che analizziamo l’evoluzione umana, sia che ci caliamo nella pratica della nostra vita quotidiana. Il brivido della scoperta si oppone costantemente alla stasi rassicurante. Trovare un modo di pensare differente e anche un modo di porsi differenti domande… non è questo che ci salva dal vedere il mondo come qualcosa di terribilmente noioso?
In anni recenti nel mondo della scienza si è fatta avanti l’affascinante teoria della complessità che, per approssimazione, ci dice che vari tipi di fenomeni che non erano accessibili allo studio secondo modelli matematici, si potrebbero descrivere oggi in  termini di equazioni (o insiemi di equazioni) che rendono evidenti sistemi di relazioni e di interrelazioni prima totalmente alieni al linguaggio della matematica. La teoria della complessità applicata a campi diversissimi tra loro come la meteorologia, le fluttuazioni dei mercati economici, la dinamica dei fluidi, dei gas e gli equilibri dinamici della mente stessa (relazioni tra pensieri, relazioni tra pensiero ed emozioni, stati d’animo più o meno stabili o più o meno vorticosi) pone l’accento su quei luoghi di minore resistenza del sistema, le singolarità, lasciate al di fuori di ogni teorizzazione matematica per riconoscere loro la funzione di “varco”  verso influenze creative. La creatività di un sistema è legata a questi “indescrivibili” momenti di singolarità. Interessantissimi, in questo campo, gli studi di Ilya Prigogine, premio Nobel per la chimica nel 1977 per le sue scoperte sulla termodinamica. Ma quello che qui mi piace sottolineare è quello che Prigogine ci insegna come filosofo della complessità. Prigogine afferma una nuova logica scientifica, contemporaneamente valida  per le scienze esatte e per quelle del ramo umanistico. Il principio fondamentale è la sfiducia sull’idea che la natura segua sempre la vi più semplice. In realtà è vero il contrario: il funzionamento della macchina-natura è dovuto alla complessità dei processi a carattere irreversibile. Prigogine perviene a questa soluzione esaminando il fenomeno della termodinamica noto come entropia. Nell’evoluzione storica dell’universo, infatti, c’è un evento eccezionale, perché smentisce il graduale passaggio dell’energia dall’ordine al disordine (l’entropia appunto). Questo evento fu il sorgere della vita sulla terra, e la conseguente esistenza delle varie forme di vita, caratterizzate, come altri processi irreversibili, dall’autorganizzazione. L’autorganizzazione va contro l’idea anacronistica della semplicità dei fenomeni, alla quale va contrapposta la complessità che è necessariamente assenza di equilibrio energetico (entropia) e disordine fisico. Non si tratta tuttavia di una disgregazione sterile, fine a se stessa, ma di un non- equilibrio dal quale sorge continuamente qualcosa, un tipo differente di ordine. In tal modo la natura crea dei sistemi dissipativi quali gli esseri viventi, la cui caratteristica è di influire sullo squilibrio dell’energia assorbendola e restituendola esternamente sotto forma di calore.
E da qui  Prigogine sviluppa il concetto della complessità in senso filosofico per vincere la sfida dell’essere complesso integrando punti di vista finora inconciliabili: cioè la cultura umanistica e quindi il mondo delle arti e delle scienze umane e la cultura scientifica, la costellazione delle scienze esatte, fisico-naturali e chimiche. La nuova alleanza fra umanesimo e scienze della natura contrapposta a quella tradizione occidentale che  ha sempre separato, un po’ artificialmente, le due culture senza cogliere, insieme alle differenze, il nesso profondo che le collega. Entrambe, sia arti che scienze, studiano o creano sistemi complessi, operano nel segno della complessità.
Nell’universo delle possibilità un solo punto fermo: l’incertezza.
Diceva Prigogine: “Gli esseri umani hanno sempre avuto bisogno di certezze. Un tempo le avevano o credevano di averle nella religione. Poi le hanno avute nella fisica di Newton che parlava un linguaggio deterministico e non problematico come quello della scienza moderna. Oggi non è più così e non accettare questa realtà ha intrappolato perfino un genio come Einstein in contraddizioni insuperabili. La cosa importante è capire che tutto questo non è un fatto negativo, al contrario. Siamo forse all’inizio di una nuova storia dell’universo. Mi piace paragonarlo a un bambino appena nato. Non sappiamo cosa potrà fare da grande, chi sarà e diventerà. Certo, alcuni genitori vorrebbero già saperlo. Ma quello che conta, a mio avviso, non sono le nostre pretese di certezze ma le infinite possibilità dell’universo bambino.

L’essenziale “armonia” è capire che le sfide sono più stimolanti di noiosissime pseudocertezze.

lunedì 27 maggio 2013

CRONACHE PERSONALI DA UNA FINALE SCUDETTO

Credevo che questa finale scudetto del campionato di rugby fra Cavalieri e Mogliano di sabato scorso a Prato...non finisse mai! Dopo il primo tempo guardato seduta in tribuna, nel secondo tempo tutta la psicologia che ho studiato mi ha abbandonato di colpo e di quella seconda parte della partita ho visto sprazzi "pascolando" avanti e indietro fra il bar e la balaustra, guardando le facce dei ragazzi di Mogliano  che non erano in campo e la faccia di Umberto Casellato  per capire cosa stesse succedendo.
La partita l'ho rivista ieri sera in tv e oggi su internet.
Sabato era troppo l'impegno di vivere quello che stava accadendo.
Non mi addentro certo nelle cose tecniche...che non sono il mio ambito nè, tantomeno, nelle chiacchiere "da bar". Sono del parere che ognuno fa delle vittorie e delle sconfitte ciò che vuole e le utilizza come meglio crede per la crescita personale e delle persone che gli stanno intorno. Scrivo questo post per condividere  alcune riflessioni, perchè le esperienze condivise, quelle si, possono essere utili.
Conosco Umberto Casellato oramai da qualche tempo e con Umberto abbiamo sempre parlato e ragionato di psicologia, di mental coaching, di tutto ciò che riguarda una visione del rugby indubbiamente di largo respiro.
Sono pochi gli allenatori (non solo nel rugby) che hanno la capacità che ha Umberto di capire l'importanza di certi aspetti e di mettersi in gioco per primi per lavorarci sopra.
E così ne approfitto per ringraziare anch'io Umberto, non solo per un indimenticabile scudetto ma per tutto quello che mi ha insegnato, per tutto quello che porta al mondo della palla ovale.
Qualunque sia la squadra che uno ha a disposizione, qualunque sia la società, il budget o quello che è, a fare grande un allenatore sono sempre le sue doti personali oltre alle capacità teniche e tattiche. Si perchè per fortuna, nel mondo dello sport a fare la differenza sono ancora le persone.
Questo gruppo straordinario che ha portato il Mogliano allo scudetto è certamente figlio di persone straordinarie: i ragazzi tutti,la società, lo staff, i tifosi......si è visto sempre e chiaramente un esercito che ha remato sempre nella stessa direzione. Alla sua testa un grande condottiero!
Mogliano è stato quest'anno l'esempio di come l'estrema professionalità e competenza possono convivere con quella "leggerezza" che significa  mantenere lo spirito goliardico del rugby, che non ne annacqua la professionalità ma ne rafforza invece la potenza.
Di Umberto mi ha sempre colpito il suo mettersi in gioco per primo per poter sempre migliorare se stesso; e poi la percezione straordinaria di ciò che accade nel gruppo; l'assoluto rispetto per i suoi giocatori; la correttezza nelle scelte e soprattutto l'essere se stesso senza voler necessariamente piacere a tutti.
Ha un'altra caratteristica rara questo allenatore...quando parlava di scudetto forse qualcuno all'inizio lo ha pensato come un visionario non tenendo conto che a parlare era qualcuno che conosce esattamente il significato del termine programmazione e che, con le persone che compongono questa splendida squadra, dentro e fuori dal campo, questo termine così complesso...ha saputo metterlo in pratica!
Umberto e Kino Properzi sono stati davvero un grande esempio e una grande lezione per me che da loro, come mental coach ho avuto davvero la fortuna di imparare tanto: Grazie Kino e Grazie Umberto!!!!!!!!

sabato 25 maggio 2013

SORRISI ...O MALINCONIE...AUTOINGANNI DELLA MENTE

Passiamo tanto tempo a pensare a ciò che potrebbe accadere, a ciò che potrebbe mancarci, a quanto potremmo soffrire quando le storie della nostra vita, siano esse d'amore, di amicizia, di lavoro, di qualsiasi relazione con gli altri...finiranno.

Si, perchè nonostante tutto il lavoro che facciamo su noi stessi e sugli altri per diffondere la cultura del potere straordinario della nostra mente e del pensiero creativo e positivo in fondo in fondo la regola che sta sotto è quella di pensare e mostrarsi sempre disponibili ad accettare la felicità ma non troppo.....perchè comunque tanto qualcosa che la rovinerà è proprio lì, dietro l'angolo e allora meglio preoccuparsi preventivamente così quando tutto questo accadrà gli altri non ci considereranno dei poveri illusi e noi potremo dire che tanto lo sapevamo già e lo avevamo ampiamente previsto.

Se è vero, come è vero, che la nostra mente vive di paradossi e di autoinganni (positivi o negativi che siano) e che non distingue l'immaginario dalla realtà quando lo visualizziamo nella nostra testa, allora è davvero evidente che perdiamo un sacco di tempo ad immalinconirci o scervellarci per cose che non sono, che non esistono "qui ed ora".

Pensiamo a cosa è stato nel passato e crediamo che accadranno le stesse cose nel futuro, non rendendoci conto che il passato è passato e non lo possiamo modificare, ma solo rileggere in altro modo. Continuiamo a porci dubbi sul futuro, vedendo tutte le possibili minacce e proiettando sul futuro le esperienze negative passate e il buon senso spesso imposto dagli altri! E non ci rendiamo conto che non si può controllare il futuro...certo si può programmare...ma di tutte le ipotesi logiche che ci facciamo su di esso possiamo avere  un'unica certezza...l'incertezza e tutte le ansie oppure le possibilità che essa ci offre.

E così, talvolta le cose iniziano e finiscono come un soffio di vento nel vento
Se niente avviene per caso anche il vento non dev’essere solo spostare pulviscolo.


Se la scala di Mohs  misura la durezza dei minerali, non esiste forse simile scala per la durezza o volatilità dei cuori e delle anime, che non sono ordinate come i minerali dal talco al diamante.

Niente è davvero perfettamente  trasparente, neanche il vetro che metti sul quadro per proteggerlo, neanche l'abito di cristallo che puntualmente indossiamo per proteggere il nucleo della nostra identità.

L'incontro ci cambia, ci modifica, come due gocce di pioggia che passeggiano sul vetro zigzagando quà e là...talvolta si uniscono e rimangono se stesse...ognuna una goccia compiuta, che a fianco dell'altra percorre un pezzo di sentiero...non un passo avanti...non un passo indietro...armoniosamente all'unisono catturando i colori del mondo riflessi attraverso il vetro.
Accade poi che si fondano in un'unica goccia...accade, oppure che divergano...esplorando sul vetro altre gocce, altre luci, altri colori....

Assurda l'ansia del per sempre, per quanto, forse, se, ma...
L'unico tempo su cui abbiamo il controllo nella nostra epoca personale è adesso "qui e ora", "hic et nunc"...

L'unica arma per accoglierlo a braccia aperte è spesso il sorriso, l'esuberanza, l'entusiasmo, la voglia di essere se stessi.

Se poi  i nostri interlocutori non ci accettano....probabilmente significa solo che abbiamo sbagliato a scegliere la nostra tribù di riferimento.

del resto che senso ha la paura di perdere qualcuno?  E' solo dove si lascia il vuoto nelle relazioni umane che qualcuno può prendere il posto di qualcun altro...è nella fessura della tegola che entra l'acqua.. e se questo accade significa che la cura quotidiana di una relazione, non  interessava più così tanto.....e allora cosa abbiamo perso....qualcuno o qualcosa che non c'era già più... credo che i rapporti con le persone per noi importanti siano fatti del balsamo che mettiamo nella cura quotidiana di ogni giorno.... passatemi la citazione dotta, come diceva Lucio battisti in una sua canzone : "neanche un minuto di non amore..."

"qui e ora"...
si torna sempre lì :-)